STORIA E VALORIZZAZIONE

L’analisi stratigrafica verticale è uno strumento conoscitivo nato nell’ambito della disciplina dell’archeologia dell’architettura. Si basa sull’osservazione diretta e analitica degli edifici finalizzata alla lettura e alla interpretazione delle relazioni esistenti tra le varie fasi costruttive di un manufatto edilizio.

La considerazione di partenza è che i manufatti edilizi subiscano, con il trascorrere del tempo, numerose modifiche, dovute sia alle attività antropiche, sia a quelle naturali; con l’analisi stratigrafica si vogliono riconoscere e classificare queste modifiche.

Il primo passo consiste nell’identificazione delle unità stratigrafiche murarie, ovvero zone omogenee per tecnica e/o materiali, frutto di un’unica azione costruttiva; poi si procede all’analisi delle interfacce (contatti fisici) esistenti fra unità stratigrafiche vicine; in questo modo si possono individuare i rapporti di cronologia relativa che legano le varie azioni costruttive: ogni unità potrà essere contemporanea, anteriore o posteriore a quella vicina. I rapporti stratigrafici possono essere indicati su una rappresentazione grafica, mediante appositi simboli.

L’analisi stratigrafica verticale permette quindi di stabilire una sequenza cronologica relativa tra le  parti; altri sono gli strumenti che permettono di fornire indicazioni di tipo assoluto e quindi attribuire ad uno specifico periodo storico le varie fasi di un manufatto edilizio.

Nel caso di edifici intonacati o comunque rivestiti, l’individuazione delle unità stratigrafiche sarà applicata a tali rivestimenti, osservando i rapporti nelle due direzioni ortogonale e parallela alla superficie.

E’ un tipo di analisi che viene effettuata principalmente per caratterizzare ed individuare gli strati di colore che rivestono una muratura.

Tra le informazioni più importanti che si possono reperire, vi è sicuramente  l’individuazione del tipo di colore stesso, che può essere univocamente  identificato da un operatore esperto, ad esempio utilizzando il Sistema di Catalogazione del Colore di Albert H. Munsell (vedi).

L’analisi stratigrafica può essere effettuata realizzando sulla muratura oggetto di studio un “tassello”: si perimetra cioè un’area sufficientemente ampia (mediamente un quadrato di 10 cm di lato), quindi con un bisturi si procede all’asportazione di uno strato di tinta o intonaco alla volta, partendo dal più esterno sino a raggiungere la struttura muraria vera e propria, facendo in modo che rimanga una porzione di ognuno di essi.

Ad analisi ultimata, il tassello presenterà al suo interno tante aree quanti gli strati identificati; le descrizioni e i rapporti tra i vari strati riconosciuti possono essere riportati su una apposita scheda, come quella in allegato.

Ogni strato può essere campionato e sottoposto ad analisi di laboratorio di vario tipo (vedi), a seconda dell’informazione che si sta cercando (degrado, colore, composizione del legante….).

Anziché realizzare il tassello sulla muratura, si può anche procedere ad una sorta di carotaggio degli strati di intonaco e tinteggiatura, prelevando cioè un campione che li contenga tutti; in tal modo la lettura stratigrafica non sarà realizzata in situ, ma in laboratorio, con l’ausilio di microscopi, sul campione opportunamente prelevato e conservato.

Si tratta dello studio del rapporto tra i corpi di fabbrica per la precisazione della loro sequenza temporale.

Laddove non sia possibile procedere ad un’analisi stratigrafica, o  quando si a richiesta un’analisi preliminare, si possono studiare gli indizi derivanti dall’osservazione della conformazione dell’edificio (generale e di dettaglio) e le datazioni fornite dai diversi strumenti di datazione, in modo da condurre comunque una vera e propria analisi archeologica, con un suo specifico livello di attendibilità.

Lo studio delle diverse tecniche murarie che sono state utilizzate storicamente in un territorio costruttivamente omogeneo, attraverso anailisi quantitative, ha permesso di mettere a punto uno strumento di datazione che si basa sul confronto delle caratteristiche dimensionale del materiale e  della messa in opera.

Metodo non distruttivo di datazione assoluta. Questo metodo è sorto in seguito all’osservazione che le dimensioni dei mattoni, nelle opere murarie storiche, variano, generalmente in diminuzione, con lo scorrere degli anni e pertanto tali variazioni dimensionali possono essere assunte come fattore datante. Alla base del metodo vi è l’elaborazione statistica delle dimensioni lineari dei laterizi (lunghezza, larghezza, spessore) ed il loro confronto con curve di variazioni cronologiche di elementi sicuramente datati. Nella zona di Genova è stata elaborata una curva mensiocronologica (grazie alla quale sono state datate, ad esempio, le murature del Palazzo Ducale e del complesso di S. Silvestro), valida nei territori sottoposti al dominio della Repubblica di Genova.

L’esame delle fonti di informazione bibliografiche, iconografiche e archivistiche costituisce il necessario supporto per lo sviluppo di nuove conoscenze e l’inquadramento di quanto emerge dallo studio delle fonti materiali.

La sintesi di tutte le indagini e le analisi eseguite sia con l’utilizzo di fonti materiali sia tramite lo studio delle fonti indirette confluisce in una relazione sulla storia del manufatto che sistematizza le nuove conoscenze conseguite.

Qualora sia necessario procedere con i metodi propri dell’archeologia di scavo la società si avvale di esperti consulenti, con i quali si è instaurata da anni una feconda collaborazione.

Analisi mineralogico-petrografiche di campioni di malta realizzate al microscopio ottico stereoscopico in luce riflessa e a basso ingrandimento sui campioni “tal quali” (in solido, non inglobati in resina)

Questo tipo di analisi e’ utile per una prima valutazione qualitativa e quantitativa (sebbene approssimata) dei materiali utilizzati.

Nel campo dello studio del costruito storico è utile ad evidenziare eventuali somiglianze o disuguaglianze tra malte prelevate in unita’ stratigrafiche diverse (e, di conseguenza, a valutare l’eventuale sincronicita’ di US prive di contatti fisici).

Le analisi sono condotte secondo gli standard espressi dalla Normal UNI 11176:2006 – Descrizione petrografica di una malta

Numerosi studi realizzati a partire dagli anni Sessanta del Novecento descrivono l’applicazione della tecnica di datazione al radiocarbonio (14C) alle miscele di calce quali ad esempio malte e intonaci al fine di ottenere una datazione diretta degli impasti e, di conseguenza, delle strutture nelle quali questi sono impiegati.

Tali studi non sono molto noti in campo archeologico e per avere un’idea dei princìpi fondamentali su cui si basano nonché dei relativi limiti di applicazione è necessario avere una certa conoscenza del processo produttivo della calce e di come questa si ‘lega’ all’isotopo radioattivo del carbonio. La calce è prodotta dalla cottura della pietra calcarea, essenzialmente composta da carbonato di calcio di origine geologica, a una temperatura di ca. 900°C. Durante tale trattamento termico il carbonato di calcio contenuto nella pietra si decompone e forma ossido di calcio, altrimenti detto ‘calce viva’, e anidride carbonica che, essendo un gas, si disperde nell’atmosfera.

L’ossido di calcio, nella forma di una ‘pietra’ più leggera e chiara di quella di partenza, viene successivamente idratato grazie al miscelamento con acqua. La reazione che avviene in tale processo porta alla formazione di idrossido di calcio (la ‘calce’ vera e propria), che soprattutto in passato veniva prodotto con un eccesso di acqua che portava alla formazione di una delle più diffuse forme di legante usate nell’antichità: il grassello di calce (una pasta bianca e viscosa). Intonaci, malte e altri materiali a base di calce si ottenevano e si ottengono ancora oggi miscelando il grassello con la sabbia che, per la sua funzione, viene più tecnicamente definita ‘aggregato’.

Quando tali miscele sono messe in opera, la calce indurisce tramite una reazione detta di ‘carbonatazione’. Durante tale processo chimico, l’idrossido di calcio si lega all’anidride carbonica (CO2) che è nell’atmosfera per formare così del nuovo carbonato di calcio. Poiché il carbonio che viene fissato dal calcio durante la carbonatazione è quello contenuto nell’anidride carbonica, il carbonato di calcio contenuto nella miscela indurita riflette necessariamente la concentrazione di carbonio atmosferico al tempo dell’indurimento e, naturalmente, anche la relativa concentrazione di 14C che è normalmente contenuto nella CO2. Di conseguenza il carbonato di calcio contenuto nelle malte indurite può essere usato per datare il momento dell’indurimento degli antichi materiali a base di calce e, di conseguenza, il momento di edificazione delle strutture che impiegano tali materiali. Sebbene questa particolare applicazione del metodo di datazione del radiocarbonio sia molto semplice nei suoi princìpi essenziali, diversi studi hanno, tuttavia, evidenziato la presenza di fattori che possono influenzare i risultati ottenibili e che devono, quindi, essere considerati durante l’applicazione del metodo

Metodo di datazione assoluta del legno, si basa sulla misurazione degli anelli annuali di accrescimento delle diverse specie legnose, il cui spessore dipende dalle condizioni climatiche che si sono verificate durante l’anno della sua crescita

È un metodo di datazione assoluta messo a punto dall’ISCUM a partire dalla metà degli anni Settanta relativamente ad alcuni elementi dell’architettura, a partire da  esperienze precedenti e da altri ambiti disciplinari. Esso è applicabile a numerose categorie di manufatti reali mobili (ceramiche, …) o immobili, di tipo architettonico (balaustrini, porte, finestre, …) o costruttivo (murature, archi, …) appartenenti ad un’area geografica e culturale unitaria.

La cronotipologia è utilizzata, come strumento di datazione, sia dall’archeologo sia dall’architetto in quanto può fornire informazioni su reperti di scavo e su manufatti costruiti, in particolar modo su quelli prodotti in serie per soddisfare concrete esigenze d’uso. Per gli stessi principi su cui si fonda, l’analisi cronotipologica non riguarda i manufatti eccezionali, i capolavori o le opere d’arte ma manufatti “minori”, d’uso comune o facenti parte di culture periferiche, di fronte ai quali i tradizionali metodi di datazione basati su interpretazioni stilistiche sono impotenti.

Il metodo, che si può definire sperimentale-deduttivo poiché non si fonda su concezioni aprioristiche di alcun tipo, non è distruttivo, in quanto non richiede il prelievo di alcun campione di materiale, è di facile uso e basso costo d’esercizio, una volta che si ha a disposizione una casistica sufficiente di elementi.

È basato sull’osservazione diretta e sul rilevamento degli aspetti morfologici e tecnici dei manufatti, che sono confrontati tra loro con lo scopo di identificarne l’appartenenza ad un gruppo specifico, definito sulla base della classificazione dei cronotipi. Si può definire cronotipo ogni gruppo di manufatti che presenta gli stessi caratteri distintivi (materiali, tecniche, forme, misure, decorazioni, …), entro tolleranze codificabili e con un periodo di durata, in un dato territorio, abbastanza preciso.

La datazione si effettua attraverso il confronto del manufatto in esame con manufatti analoghi di epoca nota, pertanto è chiaro che la validità dei risultati è tanto più garantita quanto più ampia è la quantità di esemplari già classificati. Le approssimazioni della datazione assoluta dipendono quindi dal livello di approfondimento della cronotipologia (numero di casi e analisi dettagliata) e dall’esistenza di variazioni riconoscibili in un ristretto arco temporale che, in alcuni casi abbraccia una decina di anni, in altri un centinaio.